Pio
XII, con apposito breve apostolico, il 18 giugno 1939 si degnava di costituire
san Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena Patroni d’Italia al cospetto
di Dio. Il 5 maggio dell’anno successivo per celebrarli solennemente lo stesso
Sommo Pontefice si recava nella Basilica di santa Maria sopra Minerva, che è
officiata dai Padri Domenicani e conserva le spoglie mortali della Vergine
domenicana in cui la donna è fatta consigliera e partecipe dell’agire del
Supremo Gerarca della Chiesa del Cristo. Dopo la messa Papa Pacelli, pronunciò
un dotto ed eloquente panegirico dei due Santi.
«Francesco,
cavaliere amante della povertà di Cristo, ambiziosa del cielo ch’è suo, padre
delle sacre legioni degli amici del popolo, suscitatore della carità diffusiva
di pace e di bene fra gli uomini e nelle famiglie. E veramente egli, in tempi
non meno tristi, precorse Caterina, e, al pari di lei, fu all’Italia un’aurora
di rinnovamento spirituale e pacifico. Ignudo atleta fra i famelici dell’oro,
con un cuore più largo che la miseria umana, sprezzatore di ogni dispregio, era
pure stato il fiore dei giovani, prodigo e amante del lusso, il sonatore e il
cantore delle allegre comitive, il guerriero prigioniero di Perugia, prostrato
da Dio nel cammino verso le Puglie, per risorgere vaso di elezione a portare il
nome di Cristo in mezzo al popolo e alle genti. L’amore dei poveri e
degl’infermi lo fece tra i poveri il più povero; perché nel povero contemplava
l’immagine di Cristo; perché in questa gran valle della umanità sono più gli
umili ed i poveri che i grandi ed i fortunati, a quel modo che sono più le
valli e le pianure che i monti sulla faccia della terra. Mistiche nozze innanzi
al duro suo genitore contrasse con la povertà, ascendendo con lei il sentiero
della vita, lieto e operoso, fino al monte dalla nudità crocifissa sigillata
nelle sue carni. Una tale nudità di beni terrestri lo collocò superiore agli
onori e alle irrisioni, agli allettamenti e ai disagi, a tutto ciò che il mondo
chiama beni e mali, largendogli quella ricchezza di spirito, che, nulla avendo,
ha ogni cosa, perché nulla vuole, o, per meglio dire, nulla vuole, perché nel
suo nulla trova ogni cosa, avendo deposto ogni desiderio di quaggiù per riporre
ogni brama nel Padre celeste che nutre gli uccelli dell’aria e veste i gigli
del campo. Il poverello di Assisi, coperto di un saio ricamato di gloriosi
squarci, avuto da un pezzente in cambio delle sue ornate vesti, levava, qui in
Roma, sulle soglie dell’antica basilica del Principe degli Apostoli, la
bandiera della povertà, quanto più lacera, tanto più bella, e apriva un nuovo
cammino ai campioni della santità e della virtù, ai moderatori delle passioni
umane, ai conciliatori delle discordie cittadine, ai restauratori della
convivenza familiare e sociale, ai rinnovatori della pubblica pace e
tranquillità. Quanti mossero sulle sue orme i piedi! Quanti si adunarono sotto
le stuoie delle sue capanne alla Porziuncola! Quante vergini con Chiara di
Assisi furono sue discepole! Quanti Frati Minori e Terziari guardarono a lui!
Roma vide più volte Francesco pellegrino per le sue vie; lo vide prono innanzi
al Pontefice approvante la Regola di lui; lo vide stringersi al petto Domenico;
e vide ambedue venerare come Madre la Santa Chiesa Romana, fratelli nel
servirla, nel propagarla e nel difenderla, com’erano fratelli nella sequela del
primo consiglio di Cristo. La povertà di Cristo non impiccolisce il cuore, non
restringe né spegne l’ardimento dell’animo generoso, ma alleggerisce il
fardello della via, mette le ali al piede, infiamma lo zelo per accendere in
ogni terra quel fuoco, che il Redentore era venuto a portare quaggiù. Così
l’amore di Cristo trae Francesco dalla sua Tebaide, lo fa araldo del Vangelo,
apostolo e adunatore di apostoli, pacificatore e padre di mistici cavalieri
della pace e del bene, annunziatore del regno dei cieli nell’Umbria,
nell’Italia, nell’Europa, nel mondo. La sua parola risonò in Assisi, nella
valle di Spoleto, per le regioni italiche; i suoi piedi lasciarono orme per le
strade di Spagna, sul suolo di Egitto, della Siria e della Palestina, di là
dall’Adriatico; ascoltarono la sua voce popoli di diverse lingue e costumi, il
Sultano del Nilo, gli uccelli della foresta. Ardente il suo cuore palpitava per
tutte le creature di Dio, e a lui erano fratelli e sorelle il sole, la luna e
le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la nostra madre terra. Messaggero del
gran Re, se dai Capitoli generali dei suoi frati diletti diffuse missionari per
l’Europa e nell’Africa, fortemente amò il paese, dove Dio gli aveva dato così
dolce luogo nativo, e di qua e di là dall’Appennino peregrinò sovente,
spargendo colla parola della fede e coll’esempio della virtù il profumo di
quella santità cortese, lieta, amorosa di Dio e della natura, ardente della
mansuetudine e della pace di Cristo, che coi suoi figli fece dell’Italia la
terra di Francesco, a lui fervidamente devota, stringendo col cingolo
francescano pontefici e re, ricchi e poveri, felici e sventurati, famiglie e
popolani di ogni condizione e di ogni età».
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